Piano. Con le dovute precauzioni. Con una “nuova normalità”. Milano riparte. Arrivato a termine il countdown. Domani finisce la fase 1 e inizia la fase 2. Una prova. Per capire quanto saremo più forti del virus. Ma sarà difficile – se non impossibile – lasciarsi alle spalle tutti i morti, le ambulanze nella notte, quei lampeggianti che squarciavano un cielo inconsapevole. Milano ricomincia, ma lo fa con garbo. Con circospezione. Si chiude una stagione complicata della vita, ma se ne apre una altrettanto complicata. Fatta di abbracci mancati, di strette di mano virtuali, di sorrisi celati dalle mascherine, di occhi diversi. Tanto tempo fa, ma forse non troppo lontano, si ripartì dopo la spagnola. Oggi, in questo funesto 2020 che passerà alla storia come l’anno della grande paura, si tenta di riprendere in mano le redini della quotidianità. Saremo diversi, più lontani, più malinconici sicuramente. Ma con la speranza nel cuore che tutto possa tornare, prima o poi, a ciò che era. Ai nostri ritmi. Alle metropolitane costipate, agli autobus frenetici, ai centri commerciali pullulanti di gente.
La nuova ordinanza regionale firmata dal presidente Attilio Fontana è sostanzialmente in linea con le misure del governo, prevedendo però la permanenza dell’obbligo di coprirsi naso e bocca con mascherine, sciarpe o foulard, anche all’aperto. Oltre al calendario delle riaperture previsto a livello nazionale, in Lombardia potranno riaprire i mercati all’aperto, ma solo per quanto riguarda la vendita di generi alimentari e nel rispetto delle norme per il contenimento del contagio da Covid-19. A poter riaprire lunedì, saranno anche studi professionali, cartolerie, librerie e negozi di fiori. Vengono meno, inoltre, le restrizioni per i distributori h24 di prodotti alimentari, che quindi potranno vendere di tutto e non più non solo acqua, latte e prodotti farmaceutici e para farmaceutici, come previsto dal precedente Dpcm. I ristoranti, oltre che consegnare a domicilio, potranno anche offrire servizio di asporto, sempre nel rispetto del divieto di assembramento. La Milano della moda, del benessere, del lavoro, riprova a lanciarsi. Abbiamo fatto la storia, stiamo facendo la storia, ma nella maniera più triste. La memoria va a quelle foto in bianco e nero di primo Novecento. A quella grande epidemia. Era il 1920. Quattro milioni e mezzo di contagi e 600mila morti su una popolazione lombarda di 6 milioni di abitanti; economia colpita, tensioni sociali, tutto a cavallo tra la Grande Guerra e il fascismo. “Qui l’epidemia è in aumento continuo, a Desio infierisce non meno che a Milano; basta vedere le tre colonne dei morti della gente per bene nel Corriere per persuadersi qual è la mortalità nei quartieri popolari. Non si sa più dove mettere i bambini orfani di madri ed i cui padri sono al fronte. È un problema trovare ora dei medici. Tutti sono sopraffatti dal lavoro e in fondo nessuno è curato a dovere. Forse anche la grande mortalità è dovuta alla scarsa assistenza sanitaria”. (Lettera di Anna Kuliscioff a Filippo Turati, 12 ottobre 1918). A distanza di un secolo, quanto ci rappresentano queste parole? Tantissimo, non possiamo negarlo. Ma Milano riparte. Il 4 maggio. Ci riprova.
Alessandra Pirri
Foto di Serena Basconi