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Arte & Cultura, Attualità

La Casa del Manzoni di Milano chiude per mancanza di fondi: ecco l’Italia che disdegna la cultura

Agosto 03, 2022

Lo scorso venerdì 29 luglio la Casa del Manzoni, al civico 1 di via Morone a Milano, ha chiuso i battenti ai turisti: per oltre cinque settimane, fino al prossimo 6 settembre, il museo resterà «fermo per ferie». La ragione è di matrice economica: il Ministero della Cultura ha stanziato per il 2021 soltanto 14.800 euro per la gestione del Centro Nazionale di Studi Manzoniani. Si tratta di una somma irrisoria se si considera che, facendo i debiti calcoli, essa equivale a poco più di mille euro al mese e non è perciò sufficiente per coprire tutte le spese del museo. Se non fosse per le entrate non statali su cui la Casa del Manzoni può comunque contare, il lavoro di divulgazione manzoniana non potrebbe garantire la regolarità mantenuta fino a oggi. O meglio, fino allo scorso 29 luglio, quando, «a causa della sorprendente contrazione del contributo ministeriale» per il 2021, il museo si è ritrovato obbligato a mettersi in ferie. Ma perché questo improvviso cambio di direzione?

Nella relazione allegata al bilancio pubblicato sul sito del Centro si legge che «Le Commissioni burocratiche non collocano Alessandro Manzoni tra gli autori degni di contributi pubblici istituzionali diretti», il che significa che ogni anno il Centro dovrebbe presentare allo Stato una domanda di contributo per ottenere l’erogazione di fondi. E questo perché Alessandro Manzoni, figura centrale nel dibattito sulla formazione della lingua italiana, non sarebbe “degno” di sostegno diretto. E che cosa importa che sia anche il padre di capolavori immortali?

Ma facciamo una ulteriore considerazione. Lo Stato ha tagliato il proprio contributo alla Casa del Manzoni, è vero, ma perché in gran parte del mondo libero i musei sono attività redditizie e invece in Italia necessitano di essere sovvenzionati? Puntare il dito contro un unico colpevole, purtroppo, in questo caso non può essere una soluzione efficace. L’immobilismo del settore umanistico in Italia è conseguenza di un insieme di componenti: la gestione degli enti è spesso raffazzonata e lasciata alla polvere (tanto da chiedersi dove finiscano tutte le altre entrate non statali di cui le istituzioni culturali pur dispongono), i cittadini e i turisti non sono incentivati a visitarli (certo, per la scarsa valorizzazione dei siti, a cui però spesso si intreccia anche il totale disinteresse personale) e lo Stato segue a ruota. Un’accozzaglia di dinamiche a cui si aggiunge anche lo strumentalismo politico: i musei oggigiorno hanno perso il loro ruolo di veicolo di sviluppo culturale, assumendo piuttosto quello di bacino elettorale per la classe dirigente. 

Questa è diventata l’Italia di oggi, un Paese che taglia su cultura e istruzione, le strumentalizza o semplicemente le lascia in stato di abbandono, e che, come inevitabile conseguenza, ospita una popolazione dal tasso di analfabetismo in spaventosa crescita. Perché, nella patria della latinità, dell’arte e della più grande letteratura, la valorizzazione della cultura non viene presa in considerazione? Perché l’Italia potrebbe vivere di patrimonio culturale, eppure il settore umanistico è evitato dai giovani che temono l’incertezza economica (quando non è disdegnato da quelli che hanno incontrato pessimi professori)? E perché, per il naufragare della scuola italiana, l’incapacità di un ragazzo/a di comprendere un testo scritto dopo la scuola superiore si aggira attualmente intorno al 50%?

Quando ci sono, l’istruzione e il bagaglio di studio dei singoli non vengono più premiati in questo mondo dove altri sono gli ambiti in cui specializzarsi e arricchirsi (TikTok, per citarne uno a caso): e intanto scrittori, pensatori e padri della lingua italiana vengono chiusi nel cassetto del dimenticatoio. In fondo che cosa importa formare le menti del futuro, dotarle di capacità critica e sperare che siano proprio loro a costituire il tessuto compatto e resistente della società futura? Le previsioni danno per favoriti gli influencer e i tiktoker, che per diventare milionari non hanno bisogno di sapere che Nel mezzo del cammin di nostra vita non è lo slogan pubblicitario di uno shampoo anticaduta. E intanto i venticinque lettori manzoniani saranno sempre meno. E sempre più poveri.

Ilaria Prazzoli

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